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ELISABETTA FRANCHI INTERVISTATA PER LIBERO
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La Fashion Designer si mette a nudo per l'intervista sul quotidiano

LIBERO – 1 Febbraio 2016

La Fashion Designer si racconta in un’intervista esclusiva per il quotidiano Libero che la definisce “Una mosca bianca tra gli stilisti”.

 

IL MIO SUCCESSO NELLA MODA? I CANI IN AZIENDA

Sono educati e sono fonte di ispirazione. Le mie pellicce ecologiche meglio delle vere.

E se un dipendente indossa un visone…

 

L’intervista parte col botto. «A Cortina ho visto una tizia con sette teste di visone addosso. A una così cosa vuoi fare, o la prendi a calci nel sedere o torni a casa e soffri tutto il giorno».

Temevo i calci.

Elisabetta Franchi è l’unica stilista al mondo capace di fare un’ora di intervista senza perdersi in pizzi e merletti. Le donne l’adorano, perché le sa vestire tutte comprese le bruttine, e ha creato una linea di moda e un’azienda, la Betty Blue di Quarto Inferiore di cui è stilista e presidente. La immagini arrivare con autista e codazzo al seguito, poi la trovi in un viottolo della campagna bolognese a insultare i cacciatori che sparano ai fagiani, «avevo un bastone in mano e ho detto cose che una signora… D’altronde scusami, hai bisogno del fagiano? Nooooo. Uccidi per il gusto di uccidere».

Ma lei chi è Elisabetta?

«Sono una mosca bianca del mondo della moda. Un ago in un pagliaio di gente che non fa nulla per gli animali semplicemente perché non conosce. E le confesso una cosa. Preferirei essere qualcosa di unico altrove».

Ne vada fiera. E’ citata da tutti gli animalisti del mondo. E’ l’idolo della Lav, il guru dell’Enpa, alla Scala di Milano i no global animalisti le alzerebbero un monumento a ogni nota della Giovanna d’Arco di Verdi. E sono sicura che non c’è cane nel giro di un chilometro che non scapperebbe dal padrone per bussare alla sua porta. Ho letto che ha una collezione così di premi in salotto, l’ultimo preso a Taormina.

«E c’è ancora chi ha il coraggio di venirmi a dire che faccio tanto per gli animali, “ma i profughi e i bimbi che soffrono”? Io a tutti questi rispondo che bisogna pur cominciare da qualche parte. Che se faccio tanto per gli animali non significa che non mi dia da fare per chi soffre, ma è chiaro che se aiuto un ospedale lo faccio senza cercare la ribalta e i riflettori. Viceversa se voglio sensibilizzare l’opinione pubblica sulla causa animalista un po’ di rumore lo devo fare».

Lo sa che le sue posizioni fanno a botte col mondo dorato dei vip?

«Nel mio percorso professionale mi capita spesso di partecipare a serate benefiche e vedo gente che non sa neppure cosa è venuta a fare. Sono solo lì per farsi pubblicità. Il mondo dei vip è un concentrato di ipocrisia, una realtà sommersa in cui la gente dice di essere con te perché ha sposato la causa ma invece viene pagata per esserci. Come chi partecipa alle sfilate. Lo fanno perchè sono pagati… Per loro tutto è business, io invece ci rinuncio volentieri a una parte di affari se vinco la battaglia e ho salvato un animale in più».

E lei gli animali non solo li salva, li fa stare bene. Prendiamo la sua azienda, 270 dipendenti, 70 negozi monomarca, 37 all’estero. E il fatturato che si impenna anno dopo anno. Merito degli animali in ufficio?

«Evidentemente la mia filosofia attecchisce. Quanto all’azienda, abbiamo cominciato tre anni fa con il programma dog hospitality. Ho pensato che non potevo dire ai miei collaboratori “adottate un cane che fate del bene” e poi permettergli di lasciare a casa i loro animali. Portare un cane in azienda nulla toglie al lavoro e i cani sono intelligenti, sanno come comportarsi, girano nei corridoi, entrano nelle stanze, poi si ritrovano tutti assieme come colleghi di scrivania. Ogni tanto fanno una cagnara pazzesca da non capire più nulla, però l’umore di tutti ci guadagna, e poi sono una fonte di ispirazione incredibile».

E vanno d’accordo tutti?

Tutti eccetto due: il mio Leone che è un maremmano alto due metri quando si alza in piedi e un labrador gigantone. Ho persino chiamato lo psicologo dei cani per capire cosa succedeva, ma non è servito a molto».

E se una dipendente si presenta con gonna in pelle o visoncino?

«Una volta è successo».

E lei che ha fatto, l’ha licenziata?

«Ovviamente no. Ma ho mandato una mail a tutti i dipendenti per avvertirli che non doveva più accadere. Non posso dannarmi per salvare gli animali e poi trovarmi il dipendente in pelliccia di visone».

Eppure anche nella sua collezione c’è qualche rimasuglio di pelle, o sbaglio?

«Ormai ho tre capi contati in pelle però eliminerò anche quelli».

Nel 2014 Moncler è stata coinvolta in un’inchiesta di Report sul maltrattamento delle oche. Moncler però si è difesa. «La Moncler si è difesa esibendo i documenti cinesi, ma a me questi documenti non bastano e parliamo di un’azienda che ha costruito il 90% del suo business sulle piume d’oca».

Lei invece?

«Quando ho scoperto che per avere piume così morbide le oche venivano spennate vive anche 2 o 3 volte nel corso della loro vita ho deciso di non usarle più e ho fatto i primi piumini di pelo sintetico. Lo stesso è successo con il lapin e con l’angora. Quello che indossiamo come caldo pullover è un animale scuoiato vivo. Avevo dei capi in angora pronti per entrare in collezione: li ho subito eliminati. Oggi faccio pellicce con materiale ecologico: è più caldo, talvolta più bello, sto per presentare una collezione di 17 capi ecologici e sfido chiunque a dire che c’è differenza con le pellicce originali».

Il famoso progetto della Lav di pellicce faux fur.

«Sto accompagnando le mie clienti a fare una sorta di conversione. Se uno ha voglia di capire e andare a fondo lo fa».

Diciamolo una volta per tutte, quello che si vede in giro…

«E’ raccapricciante. Quand’ero ragazzina io la pelliccia era ambita, pochi eletti la portavano. Indossarla significava aver raggiunto uno status economico, oggi continua a essere uno status per tante persone ma l’animale non vale più nulla. Il visone che un tempo pagavi 5mila euro oggi lo porti a casa con 1300».

Lei è vegana?

«Non sono vegana e neppure vegetariana. Avendo due bambini piccoli non mi sento ancora di eliminare del tutto la carne rossa, però la mangio una volta ogni dieci giorni ed arriverò a rinunciarci del tutto».

Ma è vero che ha sei cani?

«Il primo è stato Ligabue, (siamo pur sempre in Emilia) oggi non c’è più ma è stato la metà del mio cuore per 16 anni, il figlio arrivato prima dei figli veri. E quando è nato il mio primo bambino l’ho portato a casa dall’ospedale che aveva tre giorni appena, l’ho messo su un plaid e ho lasciato che Ligabue lo conoscesse e lo accettasse».

Poi sono arrivati tutti gli altri.

«Leone junior, suo papà Teo, Sara che è un pastore sardo arrivata scheletrica e diventata in breve tempo l’obesona di casa. Lalla, Tella… e poi c’è Cherie, che è un chihuahua, l’unico cane di razza che possiedo perché l’ho ereditata da una ragazza che non poteva tenerlo, un nome da escort, ma dopo essere stata abbandonata non potevo infliggerle anche la sofferenza di cambiarle nome».

Cos’ha contro i cani di razza?

«I cani si prendono al canile e non sopporto chi fa business sulle razze».

Parliamo di Leone, che ha lo stesso nome di suo figlio.

«Prima è arrivato il cane e poi mio figlio ma ho sempre detto che se avessi avuto un bimbo lo avrei chiamato Oceano o Leone e poi a ben guardarli sono due leoni tutti e due. In casa ci sono siparietti molto divertenti. Io grido Leone e si girano figlio e cane».

E i tuoi figli li amano i cani?

«Molto. Mia figlia di 8 anni, Ginevra è più rispettosa. Il secondo ha due anni e tre mesi, all’inizio capitava che tirasse la coda a tutti, poi ha capito che così non funzionava, che i cani non sono un gioco e vanno rispettati».

Disegnerebbe mai una linea per cani?

«Gonnelline e fronzoli non mi piacciono, non rispecchiano l’indole di un animale, ma ho fatto una linea “Ef loves dogs” con ciondolini, felpe, porta cacca e ciotola coordinato. Il ricavato va alla Lav».

Figli e cani: lo stesso amore?

«Nella sofferenza non c’è paragone. Mi è venuto a mancare Ligabue e ho sofferto moltissimo per due settimane, ma poi ti riprendi e vai avanti. Perdessi un figlio sarebbe un dolore inguaribile. Poi è chiaro che in vita è assolutamente lo stesso amore».

Lei è una volitiva vero?

«Ho tenuto un corso alla Sapienza proprio su questo. Bisogna trasmettere che ce la si può fare, che si deve tener duro, che se non spingi non vai da nessuna parte. Io vengo da una famiglia umile, sono andata in collegio nella prima infanzia e mi sono riscattata grazie alla determinazione, alla passione e al talento. Se ti mancano questi elementi non sfondi. Ho creato un’azienda partendo da zero. A 16 anni facevo la barista per mantenermi, ma nel giro di un anno comandavo tutti. Poi sono entrata in un’azienda di moda e lì mi sono fatta notare come prontista».

Era più facile allora?

«Facile negli anni ‘70 ma nell’85, quando ho iniziato io, era l’anno della grande crisi. Penso però che le crisi servano a eliminare chi deve fare altro. Il mondo è pieno di gente che si inventa».

Com’è il suo rapporto con gli altri stilisti?

«Porto avanti le mie idee e uso la mia notorietà per combattere la mia battaglia».

Il suo stilista preferito?

«Il mio grande amore è sempre stato Gucci, ai tempi di Tom Ford, era la mia donna ideale, bella, aggressiva, con tanta roba. Oggi compro volentieri un capo di Dolce e Gabbana».

Li porterebbe i cani in passerella?

«Ci ho pensato, e se non fosse una fonte di stress incredibile lo farei».

Ma è una fonte di stress e quindi?

«E quindi addio. Non faccio business sugli animali».

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